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PANORMUS - RITI RELIGIOSI

I RITI DELLA SETTIMANA SANTA

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Ma è la Morte che è più rappresentativa dove la drammatizzazione emerge il dominante contenuto umano della sofferenza, resa visibile dalla rappresentazione del simulacro della Madre Addolorata che segue la “vara” del Cristo morto, secondo un rituale processionale funebre consolidato da anni da parte di diverse confraternite che si preparano a questo evento tutto l’anno.


Le strade del vecchio centro storico e quelle delle periferie si animano al passare del fercolo dell’Addolorata secondo l’iconografia di un retaggio che è una ripercussione della cultura spagnola.

Mantello nero, espressione dolente e riservata, stiletto o rosa di pugnali trafitti nel cuore, aiutano alcuni fedeli che per devozione vestono i propri bambini ad richiamare lo strazio della Madre, a condividerlo esternamente.

L’urna di vetro contenente il simulacro del Cristo morto, una pala di palma intrecciata viene posta a capo del fercolo, la “vara” coperta di fiori, così come si usa per il letto di morte di qualsiasi defunto.

I confrati vestiti in abito scuro, alcuni in smoking, con guanti neri in segno di lutto, i portatori con l’abitino nero, pronti a trasportare a spalla la “vara”, “accuddati” secondo la tradizione rinsaldata nel tempo.

Ancora una volta rivedremo le processioni dei “Cocchieri”, dei “mutilati di guerra”, dei “Cassari”, dei “Fornai”, della “Soledad”, dell’Ecce Homo all’uditore, dell’Addolorata alla “Guilla”e quella di piazza “Ingastone”, del SS. Crocifisso a “Pietratagliata” e quella del Monserrato alle “Croci”, quella di “Falsomiele”, della “Passione del Signore” a Borgo Nuovo, ecc.

Tutti con un identico rituale, prima segue la “Croce”, gli incappucciati, poi i Romani simbolo del potere, i “Giudei” accompagnano l’urna del Cristo morto con le classiche armature, le donne con i segni esteriori di una immane tragedia davanti alla “vara” dell’Addolorata che segue quella figlio morto.

Il corteo si muove faticosamente per le vie dei quartieri al suono lugubre della “troccola” ed intervallato dal ritmo “lamentoso” delle bande musicali che cadenzano la processione, giorni prima in tutte le chiese “s’attaccavanu li campani”, ed erano solo questi i suoni che si udivano.
Si adoperano per fare strada i “Tammurinara” che con il loro suono travolgente dei tamburi listati a lutto annunciano il passare della processione.

Vedi video della processione dei Misteri di Ciminna

Essi hanno annunciato in precedenza la “cattura” che prevede la sfilata degli incappucciati per le strade del quartiere secondo un percosso prestabilito ed con passo funereo compiono il penultimo atto prima della passione.

In passato vi era una consuetudine, ormai scomparsa, per il divieto inequivocabile delle autorità ecclesiastiche di fare attraversare questi cortei per strade diverse alla vara del Cristo e al fercolo dell’Addolorata, allo scopo di permettere l’incontro tra la madre ed il figlio, provocando oltre la commozione generale, anche la rabbia dei fedeli ed inveire contro romani e giudei, che più delle volte erano tartassati con il lancio di pomodoro, uova ed altro.

Il sabato sera il rituale religioso, il più lungo della Settimana Santa, prevede la liturgia della luce, il fuoco di un falò di ramoscelli d’ulivo farà risplendere il cero pasquale, simbolo di Cristo risolto.
Il cero pasquale sarà immerso nel fonte battesimale, dove l’acqua fonte di vita, rigenera la natura, cadranno i drappi viola che oscurano nelle chiese i simboli della fede, una volta era questo il momento in cui la liturgia prevedeva il canto dell’Exultet (Gloria) subito dopo avveniva “ ‘a calata d’a tila”, la discesa delle grandi tele che venivano poste nelle principali chiese cittadine in modo da coprire l’intera zona del presbiterio dove è situato l’altare maggiore.

Ne emergeva un trionfante Cristo risorto, con in mano un coloratissimo labaro rosso, simile a quello che comunemente viene infilzato sulle “picureddi”.

Esse venivano poste il mercoledì delle Ceneri e venivano tirare giù il sabato santo, dei estesissimi teloni monocromatici creati dalle abili mani di modesti pittori, spesso ignoti, in un periodo tra il settecento e l’ottocento, raffiguranti di solito episodi della Passione e morte del Cristo, comunemente era la crocifissione il soggetto più richiesto.

Le campane suoneranno a distesa, per annunciare la grande festa: la Resurrezione e, tutti gridano alleluia…

Ancora oggi, il convento dei Domenicani a piazza San Domenico, come la parrocchia di Sant’Ippolito a Porta Carini hanno rispolverato questa vecchia consuetudine, brandello di antiche Pasque.

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