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L'ARCHIVIO STORICO COMUNALE |
In questa sezione: L'ARCHIVIO STORICO |
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La documentazione prodotta dal Comune di Palermo nei vari secoli si trovava ammassata, senza inventario e classificazione, in diverse sale del Palazzo municipale. Nacque, in conseguenza di ciò, l'esigenza di trovare una sede adeguata; pertanto il Consiglio Comunale, nella seduta dell' 11/8/1865, decise di trasferire il materiale giacente nei locali del soppresso Convento di S. Nicolo da Tolentino, incamerato dallo Stato italiano tra le proprietà del Demanio. Fu nominato direttore, nel 1866, Fedele Pollaci Nuccio, il quale intraprese il compito di coordinare le carte dell'Archivio.
Photo album... clicca per ingrandire le foto Nei primi tempi questo ebbe una sistemazione provvisoria, infatti, non occupò un solo luogo, ma diversi, sparsi per tutto il vasto edificio. La prima sala ad essere adattata fu quella degli Abbaini o Sala dei Lavori pubblici o dei Lucernai (dai grandi lucernai che danno luce all'intera sala) cui seguì, nel 1870, la sala Rettangolare o Aula delle finanze, luogo dell'antico Refettorio del convento. La prima era servita da due scale a chiocciola, mentre la Sala Rettangolare aveva tre ballatoi che correvano lungo tutto il perimetro. Le due sale a pian terreno e le altre stanze occupate in tutto l'edificio erano sovraccaricate oltre misura tanto che si pensò a nuove costruzioni. Il primo progetto per un ampliamento risale al 1876, firmato Moscuzza. Lo spazio della sala con i quattro piloni centrali è già presente, solo che la struttura è disegnata ad un solo piano. Nel 1879 vi fu una prima gara d'appalto andata deserta anche se e stata trovata, tra i materiali dell'Archivio, la copertina di un "progetto di una sala da eseguirsi nell'Archivio Comunale in S. Nicolo da Tolentino", presentato dall'Ufficio tecnico e dei lavori pubblici di cui faceva parte Damiani Almeyda (l'autore del Teatro Politeama Garibaldi). Tale progetto porta la data del 15 maggio del 1879 e forse conteneva quattro disegni su carta lucida, senza data, piccoli e oggi abbastanza deteriorati. Era simile a quello in seguito realizzato, ma diverso nell'architettura: la sala a triplo ordine, con l'impianto dei quattro pilastri centrali e con un sistema di scaffalature che avvolgevano tutto l'interno. L'esterno aveva un aspetto neorinascimentale.
Photo album... clicca per ingrandire le foto Nel gennaio del 1880 fu emesso un secondo bando di gara e sembra che in questo momento il progetto passasse nelle mani del Damiani. Da alcuni documenti si evince che il io aprile 1880 la gara è stata aggiudicata e che già cominciavano delle contestazioni per le variazioni "sulle forme e sui materiali" che l' Almeyda impose, avendo il potere di apportare cambiamenti senza interpellare la Giunta e l'ingegnere capo. Le polemiche continuarono soprattutto per le maggiori spese e furono riportate anche dalla stampa locale. Fu un ben preciso progetto architettonico ed un rarissimo esempio d'edilizia per archivi di fine '800. Infatti, la sala venne progettata apposta per tale funzione, mentre fino ad allora venivano adattate ad archivio delle costruzioni preesistenti. La splendida Aula Grande o Sala Almeyda fu inaugurata nel 1883, ma i lavori di sistemazione interna continuarono fino al 1885. Per il suo vertiginoso slancio verticale rappresenta "l'attrazione architettonica " principale dell'edificio. Presenta quattro enormi pilastri, alti oltre 15 metri, che sostengono un soffitto ligneo a larghi riquadri. La sua architettura non si limita all'involucro murario, ma si completa in tutto l'arredo. Le pareti sono rivestite da grandi scaffalature di legno cui si accede attraverso una scaletta a chiocciola metallica, i ballatoi hanno dei parapetti di ferro battuto e sono provvisti di leggii per permettere la consultazione sul posto, mentre ai quattro angoli della sala sono collocati degli argani dotati di un sistema di cestelli per mandare giù i testi. L'esterno, visibile anche dal vicolo Meschita, è ispirato agli edifici del tardo Rinascimento con la parte terrena bugnata e le aperture superiori classicheggianti. Damiani Almeyda, in quest'opera, ha avuto l'opportunità di sperimentare ardite e personali commistioni tra classico e medioevale producendo un lavoro di gran forza innovativa, un'architettura forte e poetica. |
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