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L'ARCHIVIO STORICO COMUNALE

In questa sezione:

GLI EBREI A PALERMO

L'archivio storico

Giuseppe Damiani Almeyda

Il patrimonio documentario

Il restauro

Il Quartiere della Meschita

Il Convento di S. Nicolò da Tolentino


Difficile ricostruire la presenza degli Ebrei a Palermo sia per l'esiguità di documenti esistenti sia per la mancanza di strutture architettoniche, perdute o utilizzate per altre costruzioni, sia per la peculiarità di questo popolo, il quale, essendo sparpagliato nel mondo allora conosciuto, cercava di assimilarsi alla cultura dominante, quasi mimetizzandosi con essa, assumendone anche la lingua. Una prova di ciò sembra essere fornita dal fatto che essi chiamarono la loro Sinagoga "Meschita" proprio per adeguarsi ai Musulmani a quel tempo dominanti. Eppure il quartiere dove vivevano, la Giudecca, dopo 500 anni dalla loro espulsione, mantiene ancora la caratteristica struttura edilizia di quel tempo ! 

La Sinagoga principale è documentata fin dal XII sec. e non sappiamo se si trovava nel posto ora occupato dall'Archivio comunale anche nel X sec. In ogni caso, la prima citazione della comunità ebraica palermitana, definita la più importante della Sicilia, si rintraccia nella lettera di papa Gregorio Magno nel VI sec., pur se alcune lastre tombali rinvenute risalgono al IV - V sec. Un importante contributo alla conoscenza degli Ebrei di Sicilia è dato dal rinvenimento delle lettere della Geniza, seppellite nella biblioteca annessa alla Sinagoga del Cairo, dove erano conservate le lettere in cui, per un motivo o per unaltro, era nominato Dio e quindi non si potevano distruggere. Grazie alla prescrizione di questa norma ci sono giunte molte notizie di tanti fatti originali che non si riscontrano in altre fonti. Per esempio, in una lettera che risale agli anni 1035/40 lo scrivente paventa l'avvento di un governo cristiano che temeva dovesse essere peggiore di quello musulmano, in cui gli Ebrei godettero di una buona tolleranza, dovuta anche alle affinità che intercorrono fra le due culture. Tali affinità culturali riguardano principalmente divieti e prescrizioni alimentari comuni ai due popoli. Inoltre le due religioni condividono il monoteismo assoluto che non vuole intermediari tra Dio e il credente; l'obbligo del bagno rituale (miqwè per gli ebrei), la circoncisione, il divieto di raffigurare Dio... Forse per tutti questi elementi che accomunano le loro culture, gli Ebrei di Sicilia hanno sostenuto i "fratelli" musulmani nella lotta per il potere contro i Normanni. Nonostante il timore, la loro vita non peggiorò con la dominazione normanna, anzi, sappiamo che, Ruggero II concesse molti privilegi fra cui il monopolio della lavorazione della seta che aveva sede addirittura nello stesso Palazzo reale. E fu in quest' opificio che venne tessuto e ricamato il celebre mantello di re Ruggero, adesso visibile presso il museo di Vienna.

Nell'itinerario del mercante Benjamin Tudela, in visita a Palermo tra il 1170 e 1173, è detto che nella città abitano circa 1500 famiglie ebree, vale a dire circa 7/8000 persone.

La comunità ebraica continua ad essere molto importante, anzi Palermo "era il maggior centro di vita ebraica di tutta Italia". Gli Ebrei palermitani erano ricchi e influenti, possedevano edifici privati e svolgevano la loro attività di lavoro in tutti i settori dell'artigianato. Erano falegnami, argentieri, vasai, fabbri; molti erano occupati nella lavorazione del ferro e del rame, all'incirca nello stesso luogo esistente ancora oggi: la Via Calderai. Nell'industria della seta si ponevano in posizione di quasi monopolio: dalla coltivazione del gelso, alla tintura e al commercio del prodotto. Al momento dell'espulsione porteranno con sé quest'importante attività, che scomparirà definitivamente da Palermo.

Anche nella pesca del tonno acquistarono gran prestigio.

Obadia di Bertinoro, in una lettera di pochi anni precedenti l'espulsione degli Ebrei (1488), ci ha lasciato una descrizione dettagliata della Sinagoga di Palermo dicendo che essa non ha eguali al mondo per il suo gran pregio. Il suo cortile esterno è abbellito da colonne di pietra su cui si arrampicano piante secolari di vite... "Essa è cinta da tre lati da un'esedra fornita di grandi sedili.. . In detta corte v'è un bel ed elegante pozzo. Nel quarto lato si apre la porta della Sinagoga il cui edificio è un quadrato lungo quaranta cubiti e largo quaranta... 

Attorno alla Sinagoga vi sono molte camere destinate alla carità: quella dell'ospedale in cui sono preparati dei letti per gli ammalati e per gli stranieri... che non hanno dove albergare, la camera delle acque e quella molto grande e bella per gli eletti..." Nella Giudecca si accedeva tramite piccoli varchi fra le abitazioni, uno di questo più grande degli altri era l'arco della Meschita lungo la via Calderai.

La situazione per gli Ebrei andò lentamente peggiorando con l'avvento della dominazione aragonese e spagnola e con l'affermarsi della fede cristiana che li avrebbe condotti all'allontanamento definitivo dall'isola.

Durante le predicazioni prepasquali e il Venerdì Santo, i padri francescani e domenicani aizzano le masse, accusandoli di deicidio.

Le stesse Autorità raccomandavano di chiudere le porte d' accesso in detto periodo.

Il 31 marzo 1492 Ferdinando II d'Aragona proclamò l'editto di Granada che prevedeva l'espulsione degli Ebrei dal regno di Spagna. Vennero accusati di proselitismo e usura, colpe di cui non si erano mai macchiati. Anzi in quanto infedeli erano sottoposti ad ogni sorta di gabella (la tassa sulla rondella rossa, sulla nascita, sui matrimoni e perfino sul vino andato a male e sul fumo che proveniva dalle braci), per cui dalla presenza dei Giudei il potere politico e fiscale riusciva a estorcere tanto di quel denaro che sarebbe stato deleterio per tutti attuare l'espulsione.

Gli alti ufficiali del regno di Sicilia e lo stesso Viceré fecero di tutto per convincere Ferdinando il Cattolico a desistere, non solo prospettando tutti gli inconvenienti di ordine commerciale e fiscale dell'espulsione, ma puntando anche sul sentimento della pietà: non tutti gli Ebrei erano ricchi e molte famiglie vivevano del loro sudato lavoro. Infine il viceré Fogliena, non potendo fare altro, tenta di farli convertire al cristianesimo onde consentire loro di restare in Sicilia.

Di 35000 giudei circa 9000 decidono di rimanere, mentre 26000 s'imbarcano alla volta di Napoli per prendere residenza a Istanbul, Salonicco Patrasso... e, benché dispersi nell'immensità dell'Impero, riescono a preservare per secoli la loro identità di Ebrei siciliani.

Subito dopo l'espulsione, a Palermo venne progettata e realizzata con incredibile velocità una "cruci di strate" larghe e spaziose per quell'epoca, che faceva incontrare la Discesa dei Giudici con la via Lattarini.

Molti hanno voluto vedere in questa "Cruci", attuata con la distruzione dei giardini di due famiglie ebree convertite, una sorta di riconsacrazione cristiana della zona.


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