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Monte Pellegrino e Parco
della Favorita:
habitat reali
Ne "L'immagine dello città"
K. Lynch affermò che l'ambiente naturale non è solo il frutto di millenari
processi ecologici, ma anche la conseguenza dell'intervento umano sul
territorio, leggibile come testimonianza storica non riproducibile e pertanto
da custodire. Per tali motivi il Monte Pellegrino e il Parco della Favorita
che si stende ai suoi piedi rappresentano un sistema paesaggistico e
antropologico unitario, simbolicamente rappresentativo della mediazione tra
l'uomo e l'ambiente nei secoli.
Il Parco della Favorita nacque come riserva
reale di caccia e luogo di diletto della corte borbonica di Ferdinando III,
intorno al 1799, in seguito allo precipitosa fuga che costrinse il re a
rifugiarsi a Palermo dopo la proclamazione della Repubblica Partenopea.
Ferdinando acquistò una casena ai Colli con l'intento di impiantarvi la
propria residenza. Per tale scopo incaricò l'architetto Venanzio Marvuglia di
ristrutturare la casena con fatture orientaleggianti, (l'attuale Casina
Cinese) e di sistemarne a giardino gli spazi di pertinenza.
Contestualmente, Ferdinando
III creò un grande parco limitrofo alla sua residenza annettendo parte dei
feudi localizzati lungo il fianco occidentale di Monte Pellegrino. Si trattò
complessivamente di circa 400 ettari sui quali impiantò il Parco della Real
Favorita, un parco neoclassico destinato ad accogliere le attività preferite
dal re ovvero la caccia e la sperimentazione agraria.
La nuova struttura viaria del
parco venne realizzata mediante una maglia di piccoli viali alberati scanditi
da luoghi di sosta, piazzette, fontane, statue, obelischi, scuderie, torrette
neogotiche e teatrini di verdura, oltre alle saie, le gebbie e le torri
d'acqua per l'irrigazione. La fitta maglia di percorsi era attraversata
ortogonalmente da tre grandi viali principali: il viale Diana, terminante
nell'omonimo boschetto con lo statua della dea oggi scomparsa, il viale Pomona
che collega la Casina Cinese con lo slargo dove trovasi lo statua di Pomona
dea della frutta e il viale d'Ercole, perpendicolare agli altri due,
terminante nell'impianto della fontana a 176 zampilli con lo statua d'Ercole
Farnese.
Le associazioni vegetali sono
composte in raggruppamenti geometrici; così vi si trovano singole zone di
agrumeti, di orti, di frutteti, di conifere, di macchia mediterranea e di
campi agricoli sperimentali.
Lo parte più naturale del
parco, sebbene anche qui i boschetti di macchia derivino da un impianto
artificiale, è quello pedemontano che costeggia lo parte rocciosa di Monte
Pellegrino, dove Ferdinando volle collocare i percorsi di caccia più
accidentati. L'impianto dei giardini della Palazzina Cinese rappresenta uno
successione di tre comparti diversi: il primo costituito da un lungo viale
rettilineo con imbocco nei pressi della Villa Niscemi che, fiancheggiato da
aiuole convergenti verso la villa, inquadra l'edificio; il secondo costituito
da un parterre de broderie alla francese, retrostante lo palazzina,
rappresenta la parte più formalmente definita e ornamentale; il terzo
costituito da un giardino a paesaggio riecheggiante temi anglosassoni, dotato
di un pregevole boschetto con "Coffee House", rappresenta l'elemento
di chiusura dell'intero complesso.
Con lo nascita del Regno
d'Italia il parco passerà ai Savoia fino al 1926, anno in cui il casato reale
rinunciò all'usufrutto del parco e ne iniziò il degrado con la
costruzione delle due strade veicolari per Mondello, l'insediamento delle
strutture sportive lungo il bordo e l'impoverimento della vegetazione.
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